Un viaggio in Sicilia nel 2016
Spesso ci siamo chiesti e mi chiedo qual è l’immagine o quali sono le immagini visive che gli europei hanno della Sicilia, quantomeno le immagini che culturalmente sono diventate patrimonio europeo. Penso che ancora pensare alla Sicilia e formularne visivamente le sue immagini vuol dire attingere a quelle prodotte e divulgate in Europa dall’Houel, dal Vivant Denon e dalla letteratura conseguente a Goethe, al suo viaggio in Italia. Una Sicilia, quella agropastorale con le sue emergenze architettoniche dei templi greci di Agrigento, di Selinunte di Segesta, di Siracusa, con il vulcano più importante dell’Europa, l’Etna e con il panorama che si gode da Taormina. Il Novecento ha tentato di integrare questo imprinting, soprattutto il secondo Novecento, con la divulgazione della fotografia. Traiettoria per certi diversa è quella che riguarda nello specifico il paesaggio siciliano nella pittura ed è singolare il fatto che tra i primi artisti a dipingere il paesaggio della Sicilia sia stato nel Seicento un fiammingo, Abraham Casemborg, nel 1650, e, a seguire, nello stesso secolo, l’olandese Willelm Schellings. Nell’Ottocento oltre ad altri artisti europei il tema del paesaggio fu affrontato e divulgato da importanti pittori siciliani da Francesco Zerilli a Francesco Lojacono, da Antonino Leto a Michele Catti a Pietro De Francisco, sul solco del realismo europeo, della Scuola di Posillipo, dei macchiaioli, per quanto le loro opere abbiano inciso di meno nella coscienza europea, mentre hanno determinato una lettura visiva sgombra del peso pur interessante della storia archeologica. Il primo Novecento è stato tiepido nel prendere il testimone di questo segmento con qualche illustre eccezione. Tra gli europei si può citare Nicolas de Sta¨l; tra gli italiani Trombadore e Guttuso.
La mostra che si presenta a Gend e a Deinze acquista particolare rilevanza come nuova, vera e intensa proposta nel guardare la Sicilia nel suo paesaggio naturale e urbano, nella sua società intesa come umanità, tra fine Novecento e primi del Duemila. Una proposta che trovo organica e straordinariamente efficace nel dire dell’immagine della Sicilia e raccontarla per la prima volta nei Paesi Bassi.
Le opere esposte sono come le tessere di un mosaico, che nelle cangianti declinazioni, danno il senso dell’attuale condizione della Sicilia contemporanea nella percezione del paesaggio e della società siciliana, con una osservazione e allo stesso tempo con un’invenzione che appieno diventa immagine vera e poetica insieme di questa terra che spesso una coltre di dolorose disgrazie, in parte, appanna la sua bellezza, la sua peculiarità, le sue contraddizioni, come è normale che sia in ogni aggregazione sociale. Le opere esposte raccontano un paesaggio della Sicilia orientale, in gran parte disatteso nella storia della pittura italiana, venuto alla ribalta e all’attenzione sempre di più in questi ultimi decenni. Difficile dire in poche battute le motivazioni, le ragioni di questa nuova vitalità, che in ogni caso è frutto di una condizione socio economica e culturale sempre più solida, una maturazione intellettuale più consapevole, un dibattito più vivace sull’arte e sulla possibilità di incardinare la creatività nella restituzione dei luoghi.
Ha cominciato a partire dagli anni settanta Piero Guccione a svelare, a togliere i veli sedimentati dalla storia, dalle ideologie, dipingendo il mare, la costa e la campagna, con azzurri inediti nella composizione della materia, una interpretazione non descrittiva ed analitica, ma sintetica e poetica insieme, a voler conferire un’anima, una vita alle superfici, alle distese marine, alle vibrazioni determinate dalle brezze, alla campagna popolata di carrubi, alle gibbose e brulle colline nella successione delle stagioni e dello scorrere delle ore
durante il giorno; una sorta di nuova mitologia del paesaggio, fatta non più di dei, semidei, di ninfe, ma di un’energia, di una vita che si esplicita nelle tensioni, nelle seduzioni, nella grazia, nelle ferite, nel degrado, tutti espressi nei luoghi, nei temi raccontati. Prevalgono il mare, l’azzurro, le tremule increspature della superficie, le distese infinite, là dove la linea dell’orizzonte fa da cerniera tra il mare e il cielo; prevale un azzurro sempre più chiaro e luminoso, dove conta la luce del mattino, in uno spazio in cui prende corpo l’aria, l’atmosfera, in cui appare il volto pallido della luna.
Seguiranno dopo qualche anno Polizzi e La Cognata. Polizzi, mantenendo la sintesi nella resa del paesaggio, accresce e potenzia la luce nei gialli, negli azzurri nella solarità massima, propone i blu nei notturni evocando fantasmi, animando con suggestioni misteriose i luoghi con accensioni a rischiarare e rendere case contadine, palme, fichidindia: campagna e mare, distese di campi di grano nel pieno della loro maturazione estiva, e acque marine vibranti lungo la costa, e ancora distese piatte di mare fermo e immobile in una solarità in cui la luce dissolve l’azzurro in bianchi rosati. Lo sguardo va verso un territorio frequentato, vissuto, con scorci di paesaggio attraversato da strade, reso nel suo movimento in presa diretta dal finestrino di un automobile, cortili in cui un albero esplode nei colori dei fiori e delle foglie, cieli in cui dense nubi grigie sono forme potenti e ricche di energia, valloni di grigie calcareniti. Un paesaggio filtrato da un’intensa partecipazione emotiva, avvertita nella resa di una materia corposa, complessa e tesa nello stesso tempo.
Campagna, mare e città, con la presenza umana è ciò che dipinge La Cognata, un paesaggio il suo più mosso nella scelta del punto di osservazione, spesso a volo d’uccello, con una materia più frantumata frutto di una gestualità che contiene struttura e solidità disegnativa e contestuale plasticità, soprattutto negli inediti colori nel rendere i campi, gli alberi, il cielo. La terra respira nella sua consistenza tra giallo e ocra, gli alberi brillano nel denso e compatto fogliame di un verde acceso; la campagna è raccontata sia nelle grandi distese incolte sia come luogo trasformato in un lago di serre di plastica, luogo di lavoro, e di attività agricole; il bagnasciuga e il particolare di un bagnante ci danno il senso della vacanza, del riposo di una fresca sensazione estiva. Affiancano la campagna i paesaggi urbani, strade di periferia, appartamenti a più piani, edilizia contemporanea sorta all’insegna dell’irregolarità, di una pianificazione urbanistica priva di una visione d’assieme, di un progetto unitario, dove tutto è approssimato e la resa pittorica è immediata nelle pennellate libere e rapide.
La varietà del paesaggio siciliano ci è offerta delle tele di Puglisi, che dipinge le fasce collinari, i pendii dell’Etna: aurore, albe, cieli stellati, paesaggi innevati, le luci della città nei notturni luminosi, brani di boschi, misteriosi aloni lunari, oltre alla vita quotidiana resa da un bordo di piscina o da una finestra. Il paesaggio dipinto è quello di un altro luogo, peculiare dell’Isola, reso con nitidezza, in luci poco frequentate. Lo sguardo su cieli tersi, lo sguardo dall’alto della montagna verso il lontano mare, il biancore della neve, di un vulcano vissuto e attraversato, a contatto con i cieli ravvicinati, il baluginio delle stelle con una pittura puntiforme, a voler fissare e definire, e nello stesso tempo a voler espandere le luci, a dilatarle. La sua è una pittura lenticolare, analitica e definita in un colore che diventa disegno sicuro e contestualmente matericamente amalgamato. E ancora la luce a far da guida per consentire l’immersione nello spazio misterioso e fiabesco eppur reale.
La Sicilia di Zuccaro attinge agli spazi interni dell’architettura ecclesiastica siciliana ed in particolare ad alcuni spazi di interni sacri di Catania, un’immersione nella luce spirituale di in transetto cupolato, una contemplazione dei riflessi saturi di colori, filtrati dalle vetrate colorate, di una grande lampada a vetri sospesa sotto la cupola. E’ la Sicilia barocca, popolata di immagini sacre, di stucchi, bianchi e policromi, di ori, un trionfo della luce e del colore che arriva all’essenziale, alla densità e agli spessori del colore, e nello stesso tempo alla preziosa impalpabile varietà del colore, reso spesso con le dita che si imprimono sulla tela, tessere a sua volta che sono fatte di materia e luce insieme; una Sicilia nascosta e manifestata, indagata, nelle superfici mosaicate d’oro e di icone immobili bizantine negli spazi sacri di Palermo, di Monreale negli spazi paradisiaci degli oratori serpottiani, nelle fastose decorazioni di palazzo Biscari, o di tante chiese barocche di Catania. Quelle evidenze figurative diventano pittura e luce, evocazioni e atmosfere.
La Sicilia proposta da Iudice è quella delle vacanze, delle spiagge, di un torrente dove si trovano bagnanti. La Sicilia agostana dove la freschezza e il ristoro di un buon bagno si accompagnano al piacere di stare insieme, nella calura estiva dove la densità dell’atmosfera si amalgama alla luce meridiana. In alcuni casi usa la matita per rendere una rischiarata densità luminosa. La contemporaneità di un luogo che può indicare qualsiasi luogo, con le comuni abitudini, con la sola differenza che non si tratta di spiagge organizzate con file di ombrelloni di stabilimenti balneari, ma di spiagge libere, dove la spontanea scelta di un luogo rende tutto vario e irregolare, in angoli appartati di una Sicilia fatta di spiagge e di scogli, di rocce incombenti. Non è solo il paesaggio ad essere dipinto ma anche la vita di tanta gente comune, di cui ne descrive il modo di vestire, i comportamenti, un documento dell’oggi, da confrontare ai tanti documenti che riscontriamo nella pittura fiamminga del Seicento o in quella parigina del secondo Ottocento.
Il più giovane del gruppo, Colombo, ci racconta una Sicilia nella sua natura primaverile, in cui esplodono i fiori, in cui i prati sono verdi, di un verde brillante e lanuginoso; uno sguardo il suo rivolto verso un paesaggio di profondità, svolto in orizzontale con orizzonti lontani. Le immagini sono definite, con contorni netti, con campiture compatte e una solidità oggettiva. Un modo di essere contemporanei all’insegna di filtri figurativi storici di grandi artisti del passato e del presente, che della realtà nella sua concretezza visiva hanno fatto la loro ricerca, da Balthus, per andare indietro fino ai cristallini paesaggi del secondo Quattrocento italiano di un Giovanni Bellini o del Polittico di Hubert e Jan van Eyck di Gend. Colombo affronta la natura ampia della campagna, lo spazio di un giardino, l’interno borghese. Luoghi frequentati, indagati analiticamente e nettamente definiti, a partire da uno stelo, da un fiore, da un tronco d’albero in un contesto in cui la luce può manifestare la bellezza di un mattino o il mistero di una notte.
Si diceva di una mostra come mosaico della Sicilia, laboratorio d’arte, luogo di stupori e di meraviglie, di sorprese. Le opere dei sette pittori proposti ci danno l’immagine della Sicilia nelle sue stagioni: la Sicilia azzurra, quella verde, quella gialla, quella ocra; quella della luce zenitale estiva, bruciata dal sole, quella notturna, quella bianca. L’isola del mito, del mare di Ulisse, l’isola di Polifemo, di Proserpina, di Cerere, di Aci e Galatea, di Demetra e Kore, l’isola di Eracle, di Venere, di Dedalo si rivela nella sua bellezza contemporanea, tra l’infinito del mare e del cielo e le spiagge, tra le coste, le pianure degli altipiani e le vette innevate, nella sua vita quotidiana, nello sguardo sgombro del presente, nel paesaggio agrario e urbano, nella socialità di una spiaggia , di un ciclista che sale lungo i tornanti all’insegna della pittura, del colore, della luce. Una Sicilia nuova, che va oltre i luoghi comuni, va oltre il pittoresco, va oltre, con consapevolezza, alle continue avanguardie che hanno riflettuto sulla pittura durante tutto il Novecento. Facendo tesoro della luce ci invitano a scoprire ancora una volta quest’isola.
Paolo Nifosì