I protagonisti di questa mostra sono Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro, pittori che avvicinai sin dalla loro prima apparizione nel mondo dell’arte, era il “1994”, e ho sempre creduto profondamente nel loro talento, tant’è che questa mia convinzione non è stata mai insidiata da un periodo di incertezza né da quello di trascuratezza avvenuto per qualche tempo. Oggi per un destino amico li ritrovo, e questa manifestazione è il segno ancora una volta della nostra reciproca stima e amicizia.
La scoperta dell’immaginario moltiplica la ricchezza del reale.
Scandagliando l’opera di Giuseppe Puglisi, ci viene rilevato che non imita la forma ma la crea in sfumature cromatiche che coinvolgono l’osservatore. Non imita la vita, tuttavia ne trova una equivalente. E non mira all’illusione
bensì a convincerci della realtà delle sue forme che guidano lo spettatore alla
natura stessa dell’immagine.
Il disegno a volte precede il colore, quest’ultimo non vuol dire che sia più
importante, cioè non necessariamente il disegno ha sempre bisogno della stesura
del colore per raggiungere quella bellezza insolita e dimensione assoluta.
Tempo addietro, nello studio che divide con l’amico e collega Piero Zuccaro,
ho potuto osservare Puglisi mentre fissava, ancora prima di toccarla, la tela
bianca che gli stava davanti, poi con un colpo dopo l’altro di fusaggine che
teneva fra le dita, con grandi linee e movimenti piuttosto decisi, tracciò
sulla grande superficie bianca una figura. Era un disegno di un immagine al
culmine della sottigliezza e precisione di gesto, un nudo che conferiva alla
tela stessa che l’ospitava un fascino particolare: opera – quel disegno – che
non ebbi più purtroppo la possibilità d’ammirare, poiché Puglisi pochi giorni
dopo aveva iniziato la stesura del colore.
Nei lavori presenti in questa mostra, come “La palma”, il dipinto del “Fayum”,
si trovano quelle differenze sottili dei segni della matita o del pennello che
fanno acquistare al dipinto un importanza determinante.
Puglisi inoltre è un pittore dotato di una sensibilità non comune ed il
“Faro”, dipinto del 1995, fortunatamente approdato assieme agli altri in questa
esposizione, ci permette di osservare una composizione inconsueta e piena di
estro.
Questo piccolo – grande quadro portò il suo autore, nell’aprile del 2002, a
scrivere: <<oggi che forse son un po’ più maturo, mi riconosco ancora in quel
piccolo “Faro” maturato prima di me>>.
La scena già definita nel disegno, Puglisi la traduce in una serie di eventi
cromatici che più si osservano tanto più sono le possibilità interpretative che
si dischiudono, dipinti in cui l’autore non mira alla resa di un’immagine ben
definita, né si lascia guidare soltanto dalla figura così com’è vista, inoltre
il colore è percepito pure nel processo del suo formarsi come effetto della
luce. Quest’ultima non ha origine fisica, né una sorgente, ma da protagonista
arriva e costruisce rilevando in una materia preziosissima l’immagine: anzi è l’
immagine.
Anche Piero Zuccaro è un’esponente che si evidenzia nel “Gruppo di Scicli”.
La sua pittura alle due dimensioni della tela sembra aggiungere una terza da
cui si origina una profondità segreta che non si può conoscere nella sua
assenza, ma dentro alla quale qualcosa di inaspettato sembra venir fuori dalla
superficie del colore. Anni addietro ho avuto l’opportunità d’osservarlo mentre
dipingeva, ed una musica di Lucio Dalla gli teneva compagnia, e sono rimasto
attonito dalla sua sorprendente immediatezza con cui la sua mente aderiva ai
suoi impulsi che venivano trasmessi sulla tela, dove cioè pennellate intrise di
gestualità sferzante distorcevano le forme delle cose per inventarne altre.
L’autore inoltre realizza, una straordinaria fusione di natura e pittura,
quest’ultima anche materia in cui l’essenziale più che mostrarlo è resi
intuibile, magari con accenni, ne fanno testimonianza “I Riflessi”,”La casa
rosa”, “La grande gru”. Zuccaro tematizza la forma fino alla sua disgregazione
che rende concreta al punto da convincersi persino che sia naturale , forma
pittorica che l’autore vede come valore in sé.
In questi lavori, realizzati dal 1992 al 1998, l’immagine appare vicina eppure
irrangiungibile, compare e scompare al tempo stesso , l’osservatore scopre dei
valori ch però gli sfuggono, e quanto più si cerca d’afferrare il rappresentato
tanto più diventa inafferrabile , e il compreso incompresibile proprio là dove
la luce scheggia “ la natura che in quanto oggetto è limitata, in quanto idea è
infinita”, ossia l’eesenza della nature nella misteriosità del colore.
Gianni Longo
(Puglisi-Zuccaro Parentesi da una collezione, opere dal 1991 al 1998, a cura di Gianni Longo, galleria Art’è, Acireale).