Se c’è un problema che Piero Zuccaro tenta costantemente di risolvere nella sua pittura è il continuo superamento del centro, l’ostinato volgersi della mano verso un nucleo pittorico che frena l’immagine entro il perimetro quasi; prestabilito. Un problema forse, o ancor di più un’esigenza avvertita dall’artista che soffre dell’idea di “dover” completare il quadro. La contrapposizione si condensa nell’accumulo di materia, nel movimento centripeto che tende ad ammassare le pennellate, i colori, i tratti e le idee in uno spazio carico di energia, stracolmo, che tende inesorabilmente all’asplosione, al distacco, alla conquista di un territorio altro. é una pittura sofferta, raggrumata, che tradisce una sovrabbondanza di emozioni e suggestioni che sono ancora tutte legate alla natura, ai paesaggi, ai fiori, ai giardini. Pietro Zuccaro frequenta l’Istituto d’arte e poi l’Accademia di Belle Arti di Catania, ma in definitiva ciò che ritiene più significativa per il suo percorso pittorico è l’esperienza nella scuola di danza di Donatella Capraro. La costanza, l’impegno severo nelle prove, l’assiduo provare e riprovare gli stessi movimenti sono i principi che Zuccaro ha trasferito nel suo fare arte. Non ama passare da un tema ad un altro e si ostina a ripercorrere le stesse atmosfere per raggiungere il massimo di identificazione e di analisi.

Morlotti e Forgioli sono i suoi maestri, e Sarnari che lo ha seguito durante gli anni passati in Accademia e dopo. Le citazioni di Zuccaro sono evidentissime:  di Morlotti ama quell’informale nascente che si esprime più direttamente nelle opere della seconda metà degli anni cinquanta, soprattutto in quei paesaggi nei quali più chiaramente si attuava il dissolvimento della figura nelle trame spesse del colore.

Di Forgioli, il giovane Zuccaro tenta le tonalità più delicate, quelle che lui stesso definisce “mentali”: i rosa, i violetti, i verdi smeraldo il giallo ocra sono i colori delle sensazioni rispetto a un paesaggio o ad un fiore. Sono i colori che mirano all’astrazione del dato più puramente naturalistico per approdare al paesaggio in cui albergano i dati sensoriali dello sguardo, dell’olfatto, dell’udito. E la natura si commenta da se, non nel silenzio di un’atmosfera rarefatta, ma nel caos delle pulsioni che suscita ed alimenta.

 Emilia Valenza

(In Blitz, 1995, Galleria La Porta Rossa, Catania)