L’abbandono gnostico della materia a irrisorio “mn ‘òv” sconvolge il rapporto dell’occhio con l’immagine che si dispone a essere in sua vece. I dipingimenti di questo autore ripetono i modelli dal modello generale della riflessione.
La reflexio – come sappiamo – non ha a che fare con gli oggetti stessi. L’intermediazione di uno specchio è simile alla intermediazione di una mente: ciò che si riflette in una mente è uguale, nelle sue modalità topiche, a ciò che si riflette in uno specchio. Come nella legge dell’occhio, solo rovesciando si può vedere dritto. Continuiamo questo esame con una domanda sul topos: dov’è dunque il luogo di questa pittura?
Salviamoci anzitutto dalla anfibolia della riflessione che prende per cose le cose della stessa riflessione. Leibniz che credette di poter pensare l’intima natura di esse le risolse in stati interni. Ma in questa pittura il problema è un altro. Qual è l’interno di qualcosa che si risolve del tutto nell’esterno? Qual è l’interno delle pitture di Zuccaro? I diversi livelli di esteriorità culminano ancora in un altro livello di esteriorità e così all’infinito. Questo inarrestabile si ferma solo nel momento in cui un occhio lo guarda. Ma vogliamo immaginare che lo sguardo è solo un disturbo, una infruttuosa ferita.
Manlio Sgalambro
(In Zuccaro,1998, Galleria, Studio Nuova Figurazione, Ragusa)